L'ultima versione della Legge di Bilancio, ancora in discussione, ha introdotto un cambiamento significativo sull'aumento della cedolare secca sugli affitti brevi. La modifica al testo riguarda principalmente i soggetti interessati alla nuova tassazione: l'aliquota al 26%, infatti, riguarderà esclusivamente i proprietari che mettono a disposizione più di un appartamento per locazioni brevi.
La cedolare secca sugli affitti brevi continua ad essere uno dei punti più discussi della nuova manovra finanziaria. Dopo la notizia dell'aumento previsto a partire da gennaio 2024, si è aperta un'intensa discussione sugli effetti che avrà sulle attività di locazione breve svolte non in forma imprenditoriale e su come impatterà sui proprietari di appartamenti e b&b. Questo fervente dibattito ha portato il governo a rivedere il testo della legge di bilancio per cercare di trovare un equilibrio tra la necessità di aumentare le entrate fiscali e la tutela degli interessi dei proprietari di case destinate agli affitti brevi.
Per questo si è giunti alla conclusione di non applicare la nuova tassazione indistintamente, ma solo "in caso di destinazione alla locazione breve di più di un appartamento per ciascun periodo d'imposta". In pratica, i proprietari che hanno destinato un solo alloggio a questo tipo di attività non vedranno alcun cambiamento (la cedolare secca resta al 21%). Al contrario, per coloro che hanno destinato due, tre o più appartamenti alla locazione breve o all'attività di b&b senza partita Iva, l'aliquota della cedolare secca sarà del 26%.
La nuova tassazione e la sua applicazione distinta in base ai casi, avrebbe lo scopo di ridurre il divario di tassazione fra le attività imprenditoriali (quali hotel e b&b con partita IVA) e quelle non imprenditoriali, favorendo una maggiore equità fiscale. Questo aggiornamento alla legge di bilancio, però, non è stato accolto positivamente dalle associazioni delle categorie interessate. Tra le polemiche sollevate, quella del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, il quale ha espresso un giudizio negativo sulla misura, affermando che questa distinzione potrebbe alimentare l'elusione e il lavoro non dichiarato.
Secondo l'Associazione italiana dei gestori di affitti brevi (Aigab), su un totale di 9,5 milioni di abitazioni residenziali non utilizzate, ci sono attualmente 632 mila seconde case messe a reddito con affitti brevi. Questo rappresenta l'1,8% di tutte le case in Italia e il 6,6% delle seconde case inutilizzate. Queste abitazioni si trovano principalmente in località di campagna o sul mare, così come nei borghi. Inoltre, circa il 96% delle case online appartiene a singoli proprietari.
Con questi dati, l'Aigab ha mostrato le sue preoccupazioni sul possibile impatto economico su coloro che dipendono da questa forma di reddito e sulle implicazioni per l'industria del turismo e dell'ospitalità. Questa attività rappresenta una fonte di reddito supplementare per circa 600 mila famiglie italiane e contribuisce all'occupazione attraverso una vasta gamma di servizi connessi. Secondo l'associazione, ci sono anche circa 30 mila imprenditori e 150 mila dipendenti direttamente coinvolti nella gestione di queste case, che si occupano nello specifico delle prenotazioni, dell'accoglienza, della manutenzione e pulizia. Altro aspetto su cui l'Aigab vuole attirare l'attenzione riguarda l'indotto che questo settore genera in termini di investimenti per ristrutturazioni e miglioramento degli alloggi, coinvolgendo imprese di costruzioni, architetti e fornitori di arredi.